Esperienze di formazione – giugno 2024

Come tutti sapete, sto facendo una Visita Generale alla Formazione Iniziale nel nostro Ordine, accompagnato dagli Assistenti Generali. La visita sta dando molti frutti, e sto imparando molto  sul processo formativo che i nostri giovani stanno vivendo, un processo chiaramente trasformativo. Ho pensato di condividere alcuni di questi insegnamenti con tutti voi, attraverso alcune  salutatio. In questa prima ho deciso di concentrarmi sulla tappa del Prenoviziato.

Cercherò di dare un nome ad alcuni dei processi che attraversano i giovani che entrano nelle nostre case di formazione, per cercare di discernere – e vivere – la vocazione scolopica che sentono di aver ricevuto. Sono tutti processi reali, concreti, i cui protagonisti sono i giovani che si trovano nelle nostre comunità.  Descriverò dieci processi di apprendimento che ho percepito – molti dei quali ancora nelle fasi iniziali, come si addice alla fase – e in ciascuno di essi proporrò una domanda. E concludo con una semplice riflessione che può guidare il nostro cammino.

1- L’esperienza della chiamata vocazionale è chiara. Su questo non c’è dubbio. È un’esperienza straordinaria sentire ogni giovane “dare un nome alla chiamata ricevuta”. E questo è il mio punto di partenza: ognuno di loro sa esprimere ciò che significa per lui la chiamata del Signore, l’essere stato chiamato da Lui. Questa chiamata è fatta di preghiera, di fiducia, di desiderio di donazione, di esperienza scolopica, di comunione fraterna, di incontro spirituale, di ritiro profondo, di gioia quotidiana, di domande audaci, di una lotta interiore – e a volte anche di una lotta familiare – di entusiasmo per una vita scolopica che apprezzano, di amore per Maria e per il Calasanzio e, soprattutto, questa chiamata ha come base una profonda esperienza di Cristo. È un’esperienza così profonda del Signore che li spinge, in giovane età, a lasciare la propria casa e ad andare nella “terra che io vi indicherò[1]. La domanda che vorrei porre a tutti noi è questa: come possiamo suscitare e accompagnare nei nostri giovani l’esperienza della “chiamata”?

  1. È presente anche un’immagine attraente e progressivamente realistica della vita scolopica, plasmata, soprattutto, attraverso l’esperienza della condivisione della comunità con i religiosi scolopi. I giovani sanno “vedere”. È uno sguardo profondo. Sanno ammirare il dono di sé e la dedizione, e sanno anche comprendere le contraddizioni e le meschinità della nostra vita. L’esempio del lavoro e della dedizione alla missione li aiuta, e la sfida che hanno dinanzi è quella di sapere che questo lavoro è enorme e non sanno se saranno in grado di farlo. È per loro di aiuto vedere gli scolopi che pregano con loro, capire che la stanchezza non impedisce quella preghiera. Al contrario, la richiede con più urgenza. Hanno capito subito la grande sfida di ogni religioso scolopio: l’equilibrio appassionato con cui siamo chiamati a vivere le varie dimensioni della nostra vita. E imparano facilmente che l’equilibrio consiste nel cercare l’equilibrio, e la passione è vivere giorno per giorno come il primo giorno. Sono come delle spugne. Che tipo di vita scolopica dobbiamo trasmettere ai nostri giovani perché questa testimonianza li aiuti nella loro ricerca?
  2. Imparano che dobbiamo imparare a pregare. Ricordo che uno dei giovani, nell’intervista personale, mi disse che fu nel prenoviziato che capì la richiesta dei discepoli a Gesù: Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,1), perché “è ora che mi sono reso conto di quanto ho bisogno di imparare a pregare e di quanto sto imparando”. Certamente, i nostri giovani scoprono aspetti completamente nuovi della loro esperienza di preghiera. Incontrano la costanza della preghiera comunitaria, sperimentano il valore della lectio, lottano con difficoltà nella meditazione, si divertono imparando a scrivere quotidianamente la propria esperienza spirituale – alcuni la chiamano “raccolto” – accolgono l’Eucaristia di ogni giorno come un dono che li impressiona, imparano a dedicare il loro tempo alla contemplazione del Signore, Cominciano a percepire cosa significhi lotta spirituale, e così via. Non diamo per scontato di saper già pregare. Impariamo da coloro che sono chiaramente consapevoli di dover imparare. Quali dinamismi della vita spirituale dovrebbero essere meglio approfonditi nella nostra proposta educativa e pastorale?

4- L’ apertura all’accompagnamento integrale è veramente enorme. È forse uno degli aspetti che ho percepito con maggiore evidenza ascoltando i nostri giovani. Cercano onestamente di essere accompagnati e hanno l’esperienza che la trasparenza li aiuta molto nelle loro ricerche. I nostri giovani hanno ben chiaro che il loro processo di crescita ha bisogno di essere accompagnato in modo integrale, libero e profondo. Accompagna la comunità, accompagna il formatore, accompagna il gruppo, accompagna la Provincia, accompagnano persone specifiche a cui viene chiesta questa mediazione – a volte professionale – accompagnano tante persone che fanno parte della vita scolopica locale. La chiave di tutto risiede, da una parte, nel desiderio che i giovani hanno di andare avanti e nella crescente consapevolezza delle sfide personali che devono saper affrontare e, dall’altra, nell’esperienza concreta che l’accompagnamento – soprattutto formativo – aiuta e sostiene veramente. In che modo possiamo e dobbiamo prepararci meglio a saper accompagnare? Come possiamo utilizzare meglio il ministero scolopico dell’accompagnamento e dell’ascolto, recentemente istituito?

5-Saper nominare le sfide è un’altra delle chiavi che ho imparato in questi mesi, ascoltando i nostri giovani. Condivido alcune di quelle sfide concrete che mi sono state affidate: cercare di non compiacermi, non aver paura di un processo di purificazione, saper riconoscere le mie ferite e lasciarmi aiutare a guarirle, imparare a mortificare la mia volontà, superare la mia tendenza a “lasciare le cose per domani”, sradicare i dinamismi che non mi aiutano, saper rispondere alle mie responsabilità, capire che la comunità dipende anche da me, ecc. Un processo formativo deve essere impegnativo, e i nostri giovani lo vogliono e se lo aspettano. Non entrano nel nostro Ordine per vivere in pace, ma per sforzarsi – come essi stessi dicono – ed essere sempre più capaci di vivere la loro vocazione. Come possiamo generare comunità che si prendano cura del processo di crescita di ciascuno dei fratelli e delle sorelle?

6-Alcune qualità che apprezzano e cercano di vivere. Ne percepisco alcune che ritengo particolarmente significative per loro: la docilità che li rende adulti, l’umiltà che li aiuta ad aspirare a qualcosa di più, la fedeltà che permette loro di cercare nuove risposte, la gioia che facilita una vita esigente, l’identità che permette loro di essere vicini ai bambini e ai giovani offrendo il proprio contributo, la vita quotidiana che permette loro di fare un percorso di autenticità, di consapevolezza di sé arricchito da un vero e proprio apprendimento di voler fare un esame di coscienza, ecc. Quali qualità e dinamismi dobbiamo curare nei nostri processi pastorali e formativi?

  1. Il grande criterio: la coerenza. Penso che i nostri giovani siano tanto consapevoli di questa sfida quanto esigenti nel loro desiderio di vederla in noi. Scelgo la sfida della coerenza perché li vedo con un sincero desiderio di crescere in essa e con una chiara nostalgia di vederla nei confratelli anziani, in coloro che Dio ha posto sul loro cammino per accompagnarli quotidianamente. La coerenza si impara come compito e si riceve come esempio. Ed entrambi i dinamismi sono necessari. È molto difficile per un giovane crescere – con coraggio e convinzione – in questa sfida se non la vede nelle persone anziane che lo circondano. Percepisco varie sfumature nella coerenza che cercano e di cui hanno bisogno: saper coniugare bene la vita spirituale con il lavoro; comprendere la sfida di vivere in modo contro-culturale; saper motivare le proprie convinzioni; assumere le difficoltà e gli ostacoli che la società porrà loro davanti; essere ben addestrati per essere in grado di motivare le proprie convinzioni; imparare a riconoscere gli errori e sforzarsi di superarli; dare valore alla quotidianità, capire che la quotidianità è il crogiolo dell’autenticità, ecc. Il desiderio è chiaro, così come la necessità di viverlo. Come possiamo sfidare noi stessi ad essere testimoni credibili di ciò che professiamo?
  2. L’orizzonte: mettere Cristo al centro della mia vita. È emozionante sentire i nostri giovani desiderare di “lasciare che Cristo sia tutto in me” o “dare tutto a Dio“. È molto confortante sentirli dire che il loro più grande desiderio è quello di rivolgere il loro cuore a Dio. So che questa esperienza, senza dubbio fondamentale, è ancora agli inizi. Ma senza di essa non è possibile essere religiosi. In più di un incontro durante questa visita, ho dovuto cambiare i miei piani e le mie domande e “limitarli” a una sola: “Che cosa significa per te la sfida di configurarti a Cristo?” Se ho potuto porre questa domanda, è perché l’hanno provocata. Permettetemi di condividere alcune delle loro risposte: lasciare andare ciò che mi separa da Lui; cerca di cercare la Sua volontà; comprendere che i miei voti, quando li faccio, sono una chiamata a crescere ogni giorno; atteggiamento di servizio; non credermi mai migliore degli altri; essere come il pubblicano della parabola; non arrendersi di fronte alle difficoltà; essere grati ogni giorno per la vocazione, perché solo se ne sono grato me ne prenderò cura; comprendere il modo di “abbassarmi”, chiedendo a Cristo di aiutarmi a configurarmi a Lui; rendermi conto che questo è un compito che dura tutta la vita, ecc. Saper rispondere a questa domanda, con umiltà e semplicità, fa parte del cammino. Quali sono le esperienze che possono aiutare maggiormente i nostri giovani a scoprire il ruolo centrale di Cristo nella loro vita, e come possiamo valorizzarle?
  3. C’è un nono insegnamento che voglio sottolineare. Possiamo chiamarlo “il desiderio ardente di conoscere il Calasanzio“. I nostri giovani pre-novizi hanno un bellissimo riferimento nel Calasanzio, lo ammirano e lo amano, li ispira. Per me non c’è dubbio: il Calasanzio è una fonte di ispirazione nel loro processo. Ma c’è anche un chiaro bisogno di conoscerlo meglio, di approfondirlo. L’apertura con cui affrontano la sfida di “conoscere meglio il fondatore” mi fa pensare che questo dovrebbe essere un atteggiamento permanente negli scolopi. Sento che, se i nostri giovani sono capaci di mantenere questo “desiderio ardente” per tutta la vita, cresceranno più chiaramente nel loro obiettivo, che di solito formuliamo così: “essere un nuovo Calasanzio”. La chiarezza e l’entusiasmo con cui si identificano con questo obiettivo mi spinge a ricordare a tutti noi che questa è la sfida di ogni scolopio e, secondo la propria vocazione, delle varie persone che scoprono che il loro posto nel mondo sono le Scuole Pie del Calasanzio. Come possiamo presentare al meglio il Calasanzio nei nostri contesti scolopici?

10-Traggo da tutto questo dieci lezioni.  Questa ultima è fondamentale per me: il tempo dedicato ai bambini e ai giovani, e soprattutto ai più poveri. I nostri prenovizi vivono, con sana gioia e non poche sorprese, varie esperienze tipiche della missione scolopica. Sono accompagnatori del Movimento Calasanzio, dedicano del tempo nelle case dei bambini che gestiamo, partecipano alla Preghiera Continua, formano i chierichetti, condividono la loro fede e la loro vita con i loro compagni nei gruppi da cui provengono, organizzano campi estivi, aderiscono alle Missioni, partecipano ai processi di formazione dei nostri educatori organizzati dalla Provincia, e così via. E in tutti percepisco una costante chiara: i bambini e i giovani consolidano la loro vocazione. Come è sempre stato, il contatto con la ragion d’essere delle Scuole Pie diventa la ragion d’essere della loro vocazione. La vita scolopica è rafforzata dai bambini e dai giovani a cui ci dedichiamo, e questo è vero fin dal primo minuto di formazione. Quali sono le esperienze missionarie più provocatorie di domande e di ricerche nei nostri giovani?

Come ho detto sopra, vorrei concludere con una breve riflessione ispirata da questi insegnamenti e dalle sfide formative che ci troviamo ad affrontare.

Come sapete, il nostro 48° Capitolo Generale ha approvato una nuova edizione del Regolamento (R162) incentrata sulla Formazione Iniziale. Ne riprendo il contenuto, perché penso che sia importante tenerlo presente. “La formazione deve sviluppare nei candidati la capacità di esercitare la loro futura vocazione di accompagnatore e di servizio secondo i criteri scolopici espressi nel curriculum formativo: lo spirito di servizio a favore degli ultimi, la sensibilità verso i poveri, il dono di sé alla missione e alla comunità, la disponibilità ad educarsi continuamente, la trasparenza di vita, la disponibilità ad essere accompagnati, il superamento del clericalismo e del secolarismo, la formazione alla tutela integrale dei minori, il lavoro in equipe“.

Ascoltando i nostri giovani, percepisco un’enorme sintonia con le preoccupazioni formative dell’Ordine. Li vedo, in generale, aperti al processo e desiderosi di seguire la strada che proponiamo loro. Ciò di cui hanno bisogno è che la proposta sia seria, coerente e chiara. Come diceva uno dei formatori con cui ho parlato in questi mesi, “si impara ad essere scolopi essendo scolopi”.

Ricevete un abbraccio fraterno.

  1. Pedro Aguado Sch.P.

Padre Generale

[1] Genesi 12:1

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