Cooperatori della Verità – maggio 2024

Il nostro Santo Padre ci ha proposto un alto ideale: diventare “cooperatori della Verità”. Ci identifichiamo con questo nome, proposto dal Calasanzio per definire la nostra identità. Naturalmente, non è solo nostro. Ad esempio, lo stesso Papa Benedetto XVI lo ha utilizzato nel suo motto episcopale, anche se senza l’aggettivo “adatto” o  “autentico” che il Calasanzio ha sempre posto davanti ad esso. Ma, anche se non è solo nostro, è assolutamente nostro e deve aiutarci a capire noi stessi, a presentarci e a camminare verso l’ideale proposto dal fondatore.

Questa denominazione si trova nel terzo paragrafo del Proemio che il Calasanzio scrisse per presentare le sue Costituzioni. È bene leggere l’intero Proemio per comprendere l’intenzione del fondatore, ed è fondamentale collocare la proposta calasanziana nel contesto di questo terzo paragrafo. In esso, il Calasanzio ci presenta uno dei contributi più fruttuosi e stimolanti, in quanto fondatore, di quella che è l’identità scolopica: siamo “cooperatori della Verità”. Siamo cooperatori della missione di Cristo, cooperatori del Vangelo. Collaboriamo con il Signore. Senza dubbio ispirato dal versetto 8 della terza lettera di Giovanni (l’elogio di Gaio), il Calasanzio ci dà un nuovo nome, che definisce in modo molto essenziale ciò che siamo e ciò che siamo chiamati ad essere.

1-Cooperatori della Verità.

Verità o verità? Le traduzioni che utilizziamo usano entrambe le versioni in modo intercambiabile: Verità con la lettera maiuscola (riferita a Cristo) e verità con la lettera minuscola. Viviamo e proclamiamo la Verità (il messaggio profondamente umanizzante e appagante del Vangelo, quella verità che ci rende liberi[1] ), nella fedeltà alla Verità. Proclamiamo la parola nella fedeltà alla Parola. Ecco perché la nostra proposta educativa non può mai abbassare o ridurre il messaggio di Colui che ci invia.

Altrettanto interessanti sono le chiavi da cui il Calasanzio ci propone di essere “cooperatori della Verità”. Si tratta di tre sfumature molto suggestive.

1. La prima è molto calasanziana, molto in linea con la sua anima: solo dall’umiltà possiamo essere ciò che vogliamo essere. L’umiltà che il Calasanzio propone non è solo un tratto caratteriale, un tratto della personalità. È un atteggiamento spirituale, profondamente spirituale, perché si basa sulla convinzione di non essere degni della chiamata del Signore o della vocazione che abbiamo ricevuto.

2. Ciò è chiarito da questa seconda sfumatura: solo Dio può trasformarci in cooperatori della Verità. Da Lui dobbiamo aspettarci l’aiuto di cui abbiamo bisogno, i mezzi necessari. L’iniziativa è di Dio, la missione è di Dio e solo dal Suo amore possiamo rispondere, solo con l’aiuto di Dio. Questa convinzione del Calasanzio, compresa dal fondatore a partire da una profonda vita di preghiera, illumina la nostra vocazione.

È vero che dobbiamo formarci per la nostra missione e che tutti i mezzi sani di formazione e di apprendimento che utilizziamo ci aiuteranno nel nostro compito, ma c’è qualcosa di più fondamentale: diventeremo autentici scolopi a partire da un’esperienza sincera e onesta della nostra relazione spirituale con il Signore, a partire dal nostro sentimento di essere inviati e dalla nostra comprensione del fatto che solo a partire da questa esperienza di fede possiamo essere scolopi.

3. E la terza caratteristica interessante è il modo in cui il Calasanzio presenta la nostra identità: “diventare”. La traduzione proposta dalle nostre attuali Costituzioni dice “trasformarci in autentici cooperatori della Verità”. In altre parole, ci troviamo di fronte a un compito che dura tutta la vita. Non arriviamo a possedere l’identità completa; la cerchiamo, la preghiamo e lavoriamo per ottenerla, facendo dei passi, a poco a poco, in questo processo di trasformazione. Giorno per giorno, ogni giorno, fino alla fine.

Questo modo di intendere la vocazione è molto prezioso e impegnativo per ognuno di noi: siamo in viaggio, e questo viaggio dura tutta la vita. Credo che dobbiamo ricordarci ancora una volta del valore trasformante della quotidianità, della vita di tutti i giorni, del senso di fedeltà con cui facciamo le cose, dell’esperienza quotidiana della comunità, della missione, della preghiera, della formazione. Siamo il risultato della nostra vita quotidiana, ed è nella nostra vita quotidiana che diamo forma alla nostra identità più profonda.

2-Il raccolto più fertile

Insieme a queste sfumature della definizione dello scolopio “cooperatore della verità”, il Calasanzio sottolinea la grandezza dell’impresa a cui il Signore ci ha inviato: siamo davanti a un raccolto molto fertile. È un superlativo, uno di quelli che il Calasanzio ama usare per sottolineare il suo pensiero. Le risonanze di Mt 9, 37-38 sono chiare. Il contesto di questa affermazione calasanziana è, quindi, chiaramente vocazionale. C’è molto lavoro, molto bisogno di operai per questa messe, molti bambini senza nessuno che li accompagni nel loro cammino, senza nessuno che li aiuti a crescere, senza nessuno che offra loro il pane della fede e dell’educazione.

Questa è la nostra missione, e questo è il campo in cui siamo inviati da Dio a lavorare: l’educazione evangelizzatrice dei bambini e dei giovani, soprattutto dei più poveri. È un campo infinito e inesauribile. Il testo del Vangelo che ispira il Calasanzio ci ricorda che dobbiamo chiedere al Signore di inviare nuovi operai nella Sua messe.

Non credo che sia una forzatura del testo affermare che il lavoro vocazionale, lo sforzo di rendere possibile che la chiamata di Dio raggiunga i cuori dei giovani affinché un giorno, se Dio vuole, possano diventare scolopi, è alla base di questo messaggio del fondatore.

Questo è il motivo per cui credo che dobbiamo convincerci che le Scuole Pie, che non sono fini a se stesse, sono effettivamente uno strumento del Regno, e molto prezioso. A volte dimentichiamo che lavorare per la costruzione dell’Ordine, e farlo in un aspetto così essenziale come l’incorporazione di nuovi giovani che vogliono dare la loro vita come religiosi e sacerdoti scolopi, è un modo formidabile per garantire che le Scuole Pie possano continuare ad offrire il loro contributo alla promozione del Regno di Dio.

Credo che stiamo affrontando una sfida spirituale, una sfida che ha a che fare con il nostro modo di intendere la vocazione. Trarre tutte le conseguenze di questo modo di pensare diventa un percorso molto ricco di discernimento e di arricchimento del nostro modo di vivere, di lavorare e di prendere decisioni. Dobbiamo fare in modo che questa “spiritualità della costruzione delle Scuole Pie”permei tutti gli aspetti della nostra vita. E dobbiamo farlo per motivi missionari, perché non c’è nulla di più apostolico che chiamare le persone ad essere apostoli.

È fondamentale essere consapevoli che costruiamo Scuole Pie con molte persone. Con le Fraternità, con coloro che condividono la Missione, con coloro che si identificano con il Calasanzio, con tanti collaboratori. Sentire che stiamo “costruendo con gli altri” ci aiuta a situarci.

3-Le Costituzioni.

Infine, il Calasanzio ci dice che è giunto alla conclusione che tutto ciò che sta nascendo all’interno delle Scuole Pie deve essere consolidato e dotato di una struttura e di un’organizzazione che ne garantiscano la durata. Il Fondatore usa il verbo “cementare”. Vuole assicurare, definire, concretizzare, accompagnare, garantire la fedeltà e l’autenticità della vita.

La missione è così grande, e così importante è ciò che Dio ispira nelle nostre anime, che dobbiamo darle una stabilità duratura. Ecco perché abbiamo bisogno di Costituzioni, un documento chiaro che espliciti, e lo faccia in modo certo e normativo, ciò che siamo chiamati a vivere.

In effetti, il documento di fondazione[2] affida già al  Calasanzio l’elaborazione delle Costituzioni. Nella coscienza ecclesiale è molto chiaro che un carisma deve essere organizzato per essere fruttuoso e duraturo. Questo è il modo in cui il Calasanzio lo ha compreso. Le Costituzioni esprimono il carisma e la forma di vita e di missione che il fondatore desidera per i suoi figli, ma sempre condizionate dal contesto e dalla cultura del momento in cui vengono elaborate. Questo non solo è normale, ma è anche buono e sano. Ma ci sono momenti storici in cui la Chiesa, che è depositaria dei carismi, capisce che ci sono condizioni talmente nuove che dobbiamo rivedere ciò che era stato consolidato. E questo è ciò che è accaduto dopo il Concilio Vaticano II. Le nostre attuali Costituzioni hanno una dinamica di profonda stabilità, ma anche una formidabile capacità di sfida. Questo è il valore delle Costituzioni.

Ci attende una sfida: lo sviluppo di una “cultura costituzionale”. Credo che l’Ordine sia sulla buona strada per comprenderla e svilupparla. Ma c’è ancora molta strada da fare. Questa “cultura costituzionale” richiede una conoscenza più approfondita del testo e delle sue sottolineature, per sviluppare, a poco a poco, una  “cultura dell’Ordine” che permetta di vivere, con sempre maggiore autenticità, ciò che le Costituzioni propongono.

In tutti i ritiri spirituali che sto facendo con i religiosi giovani adulti durante la Visita Generale che stiamo svolgendo, appare la sfida di approfondire le Costituzioni, in modo personale e comunitario. Credo che ci troviamo di fronte a un’opportunità che dobbiamo saper sviluppare.

Vorrei fare due piccoli esempi, tra i tanti che possiamo analizzare, che possono aiutarci a capire la necessità di sviluppare una “cultura costituzionale”.

Il primo ha a che fare con la vita comunitaria. Guardiamo, ad esempio, le “riunioni comunitarie”. Le Costituzioni propongono questi obiettivi per le nostre riunioni comunitarie: la costruzione di comunità autentiche; il discernimento di questioni importanti; lo sviluppo della corresponsabilità e dell’azione comune; la nostra capacità di rivedere ciò che viviamo e di migliorarlo[3] . Tuttavia, in non poche comunità non ci si occupa di questa importantissima mediazione di “costruire la fraternità scolopica”. Non abbiamo forse bisogno di un processo di apprendimento della vita comunitaria, per sviluppare – culturalmente – la nostra dimensione di vita in comune? Questo è solo un esempio di ciò che significa sviluppare una “cultura costituzionale”.

Il secondo esempio che desidero citare è la riflessione offerta dalle Costituzioni sulla Formazione dei religiosi scolopi. La lettura di questi paragrafi è molto illuminante per comprendere la grande sfida della Formazione Iniziale. In modo particolare, le nostre Costituzioni ci avvicinano al profilo del formatore e alle chiavi di lettura da cui dobbiamo comprendere il processo formativo[4] .

La sfida proposta dal Calasanzio a tutti i suoi figli è forte e chiara, è motivante e profondamente rinnovante: “diventare autentici Collaboratori della Verità”.  Facciamo attenzione e viviamo questo modo di intendere la nostra identità e la nostra missione.

Un abbraccio fraterno.

P. Pedro Aguado Sch.P.

Padre Generale

[1] Gv 8, 32: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 

[2]J.M. LESAGA, M.A. ASIAIN, J.M. LECEA: “Documentos fundacionales”. Ediciones Calasancias, Salamanca 1979, pagina 23.

[3] Costituzioni delle Scuole Pie 32, 134, 165 e 167.

[4] Costituzioni delle Scuole Pie 104 e 107.

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