“Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo… per concedervi un futuro pieno di speranza” – marzo 2024

Intitolo questa lettera fraterna con l’annuncio centrale che il profeta Geremia invia al suo popolo, esiliato a Babilonia. Il profeta annuncia che Dio ha dei piani per il suo popolo, e sono piani di pace, portatori di speranza[1] . Dio annuncia la speranza a un popolo esiliato, in mezzo alla sofferenza, attraverso Geremia.

Ho deciso di scrivere questa lettera perché credo che la speranza sia, forse, l’annuncio di cui il nostro mondo, le nostre società, la nostra Chiesa, i nostri bambini e giovani hanno più bisogno. E, è bene ammetterlo, anche noi scolopi abbiamo bisogno di proclamare la speranza a noi stessi. Sebbene sia pubblicata a marzo, questa lettera è stata scritta in Avvento, un tempo di trepidante attesa di Colui che verrà per rimanere, per sempre, in mezzo a noi.

Quando guardiamo il nostro mondo, è facile essere tentati dalla disperazione. Vediamo guerre, violenze ingiustificate, anche contro i bambini, movimenti migratori che vengono fraintesi e trattati senza solidarietà. Vediamo anche leggi disumane, la brama di potere e di ricchezza, l’ingiusta disuguaglianza. Assistiamo al degrado della nostra casa comune, senza che le autorità pubbliche se ne preoccupino troppo. Quando guardiamo i nostri bambini e giovani, sentiamo la sfida di nutrire la loro gioia, i loro sogni, i loro desideri per un mondo migliore, spesso interrotti da una crisi di significato, una crisi del futuro, una crisi di fede.  L’elenco delle sfide umane che stiamo affrontando e che giustificano un sentimento di scoraggiamento sarebbe infinito. Anche questo è un sentimento umano. E dobbiamo rispettarlo e accoglierlo come una chiamata alla nostra vocazione.

Tuttavia, credo che ciò di cui il nostro mondo ha bisogno, più che mai, sia una profezia di speranza. Il profeta, come sappiamo, ha una missione composta da due dimensioni inseparabili: rivelare il presente e proporre il futuro. Ed entrambi dal punto di vista di Dio. Questa è la missione del profeta Geremia, splendidamente espressa nel messaggio che invia – in nome di Dio – agli esuli di Babilonia.

Come avranno ricevuto queste persone questo annuncio di speranza? Come possiamo annunciare la speranza ai nostri giovani, alle nostre famiglie, ai nostri figli, ai nostri fratelli e sorelle, alla nostra Chiesa, alle nostre società? Quale contributo di speranza possiamo e dobbiamo dare noi, come figli e figlie del Calasanzio, in questo mondo in cui viviamo? Credo che ci troviamo di fronte a una riflessione importante, che dobbiamo approfondire. Vorrei farlo da tre punti di vista: quello della fede, quello dell’educazione e quello della nostra vita quotidiana.

Per una persona di fede, per un Ordine religioso, le situazioni buie non devono oscurare la speranza. La speranza è una virtù teologica, viene da Dio. Non è la stessa cosa dell’ottimismo, che è semplicemente uno stato d’animo. Stiamo parlando di speranza. Ci sono molti esempi che possono aiutarci a capire che la speranza esista e cresca, anche in situazioni difficili. Mi ha sempre fatto riflettere ciò che ha fatto San Giovanni della Croce: ha scritto il suo Cantico Spirituale nell’oscurità della prigione, o che ha fatto Santa Teresa, che ha scritto il suo libro “Las moradas o el castillo interior” nel bel mezzo della persecuzione. Il contenuto di alcune lettere di Paolo, scritte in prigione e in mezzo a persecuzioni e difficoltà, è impressionante. Mi ha sempre fatto pensare il fatto che il Calasanzio, nel bel mezzo della crisi delle Scuole Pie, abbia invitato gli scolopi a rimanere uniti e gioiosi, confidando in Dio e lavorando per i bambini.

Le persone di fede non aspettano semplicemente tempi migliori. No. Oggi è il giorno. Oggi è il momento di lavorare per un nuovo mondo. Mi è sempre piaciuta questa definizione di fede nello Spirito Santo: credere nella fecondità del presente. È nel presente che lo Spirito Santo agisce. Questa è la nostra fede. A Martin Luther King, uno dei più forti profeti di speranza, portatore del sogno di un mondo nuovo, viene attribuita questa frase significativa: “Anche se sapessi che il mondo finirà domani, oggi pianterei, comunque, un albero”. Il presente in cui viviamo è il luogo della speranza; e in questo presente siamo chiamati, per fede, a cercare e generare segni di vita e di speranza. Questa è la nostra missione.

La speranza è figlia della fede. E le persone di fede, se la loro fede è autentica, sono portatrici di speranza. Sono certo che un mondo in rovina può essere sostenuto solo da gruppi di fede, da persone che confidano in Dio e che sanno di essere portatori di una promessa. Queste persone emergono con forza in mezzo al nostro mondo e generano risposte vitali. In quella Roma dilaniata dall’ingiustizia sociale, dalle malattie e dalla povertà, un uomo di fede ha dato vita a una risposta di speranza: le Scuole Pie.

Passo al secondo punto della mia lettera: l’educazione alla speranza. L’educazione guarda sempre al futuro. Sempre. Cerchiamo di preparare i nostri studenti a un mondo che non esiste ancora, ma che devono creare e costruire. Come possiamo farlo? Non ho intenzione di scrivere un trattato educativo sulla speranza. Mi limiterò a citare ciò che sappiamo fare, ciò che sappiamo che funziona e ciò che non possiamo dimenticare. Si tratta di alcuni dinamismi educativi che sono radicati nella nostra tradizione e nelle nostre scuole e che ritengo debbano essere sistematicamente rafforzati. Permettetemi di citarne brevemente alcuni:

  1. Un’educazione alla fede, che aiuta i nostri giovani a guardare oltre se stessi e il loro – a volte – piccolo mondo, aiutandoli a scoprire e sperimentare che Dio si fida di loro, che Dio conta su di loro e che è degno di fede. La fede apre gli orizzonti e li porta alla pienezza. Provoca audacia e pazienza, come nel Calasanzio.
  2. Un’educazione al sentimento di fraternità, alla cosiddetta “cittadinanza globale”, che offre ai nostri studenti la prospettiva di un mondo diverso, un mondo che possono trasformare. Un’educazione che permetta loro di sperimentare e comprendere il valore della solidarietà, dell’impegno e della fraternità. Un’educazione toccata dall’esperienza dell’altro, del diverso.
  3. Un processo educativo in cui si sentono ascoltati, accompagnati e guariti nelle loro ferite e delusioni, in cui gli educatori scolopi puntano davvero su di loro e sul loro futuro. Un processo che provoca domande e li incoraggia a trovare risposte.
  4. Un’educazione vocazionale, in cui possiamo offrire agli studenti orizzonti di vita più ampi, non chiusi in schemi sociali o curricolari. Un’educazione che provoca crescita, opzioni e progetti di vita, e che alimenta questi progetti da una coscienza di umanità.
  5. Un’educazione olistica, che cerca di far crescere ogni studente in tutte le dimensioni, compresa la fiducia nella vita e in un mondo diverso.

Sappiamo che il mondo può essere cambiato, ma solo attraverso l’educazione. Rinnoviamo il nostro impegno in tal senso e andiamo avanti. Promuoviamo tutte le dinamiche che possono portare a questo tipo di educazione, dalle scuole a tempo pieno e da altre piattaforme educative diverse, tutte calasanziane.

Vengo a un terzo e ultimo aspetto a cui voglio fare riferimento in questa semplice riflessione sulla speranza. Noi scolopi siamo persone di speranza, portatori di speranzageneratori di speranza? Quando guardiamo l’Ordine e contempliamo la vita e la missione scolopica nel mondo, proviamo gioia, proviamo speranza? Voglio contribuire a rispondere a questa domanda offrendovi alcuni segni di vita e di speranza che vedo nelle Scuole Pie, e che è bene nominare e per cui è bene ringraziare.

  1. L’impegno quotidiano per le nostre scuole, in tutte le situazioni. Non è mai stato facile sostenere le scuole, e non lo è nemmeno adesso. Ma se c’è una cosa chiara quando guardiamo l’Ordine, è il lavoro formidabile che viene fatto ovunque per mantenerle aperte e piene di studenti. Pensiamo a tutte le sfide che stiamo superando: situazioni sociali e politiche avverse, legislazione restrittiva, mancanza di sostegno da parte dello Stato, difficoltà dovute al calo del tasso di natalità e, di conseguenza, del numero di studenti, ecc. Ma questo non è nuovo nella nostra storia; abbiamo molta esperienza nella lotta per le nostre scuole. Dobbiamo continuare.
  2. E insieme alle scuole, e spesso da esse, l’enorme sforzo di creatività missionaria che facciamo, creando piattaforme educative diverse e plurali per rispondere a realtà molto diverse. Mi piace citare ciò che ho visto: scuole in quartieri allagati, in tende o sotto un albero frondoso; il Movimento Calasanzio nei quattro continenti; progetti pastorali diversi e ricchi; resistere ed educare in Paesi con dittature; collegi che rendono possibile la scuola per tutti; scuole con il 90% di musulmani o scintoisti; progetti di seconda opportunità; appartamenti per giovani sotto tutela; case per bambini di strada; scuole sportive; scuole che si trasformano nel pomeriggio per offrire una formazione completa agli immigrati; appartamenti di accoglienza; progetti di integrazione per gli immigrati in arrivo; campi estivi; tutoraggio e accompagnamento; scuola dei compiti; scuole per famiglie; scuole per insegnanti; ricerca incessante sull’innovazione educativa; formazione per volontari e monitori; cattedre di riflessione pedagogica; pubblicazioni; partecipazione alla ricostruzione del Patto Educativo Globale; formazione sui diritti dei bambini; scuole di pace; biblioteche; preghiera continua; formazione al dialogo interreligioso; lavoro con i giovani nelle carceri; lavoro con i tossicodipendenti; programmi per proteggere i bambini dagli abusi; la semplice presenza in una baraccopoli; scuole consolidate che cercano di offrire proposte rinnovate sempre basate sulla chiave di un’educazione integrale e di qualità…. e molte altre cose che sono risposte sincere e oneste al progetto Calasanzio. Continuiamo a rispondere….
  3. La testimonianza dei nostri anziani, portatori di speranza. L’anziano che continua a incoraggiare e a sperare, non limitandosi a ricordare i tempi passati, è un segno di profonda speranza per il giovane religioso che cerca di vivere la sua vita scolopica con autenticità. La fedeltà degli scolopi inviati in Paesi particolarmente difficili per la missione, e che continuano in essa sapendo che Dio la benedirà a tempo debito. Penso, ad esempio, al Giappone. La fedeltà gioiosa e positiva degli anziani è una delle maggiori necessità dei giovani. E loro ne sono profondamente grati.
  4. La numerosa risposta vocazionale di giovani che desiderano seguire il cammino del Calasanzio e che crescono nelle nostre case di formazione con una visione sempre più universale e ‘in uscita’. È vero che la realtà è molto diversa a seconda dei contesti dei continenti, ma l’Ordine continua ad avere vocazioni, e queste sono buone e numerose.
  5. Lo sforzo delle Fraternità scolopiche di consolidarsi, crescere e vivere nella fedeltà calasanziana, così come il loro profondo desiderio di condividere la missione scolopiche da diverse opzioni e strutture, forse Itaka-Escolapios è la più sviluppata.
  6. Nuove fondazioni e presenze, promosse in tutte le demarcazioni, in vari modi e forme, comprese fondazioni in nuovi Paesi dove cerchiamo semplicemente di servire, come abbiamo sempre fatto.
  7. La vita quotidiana delle nostre comunità, di coloro che si sforzano di vivere con semplicità e autenticità lo stile di vita che abbiamo assunto con la nostra professione. La vita quotidiana è sempre un crogiolo di vita e di speranza.
  8. Non mi sfugge che a volte visito comunità e presenze in cui gli scolopi non sono visti come speranzosi. Una delle ragioni di questa mancanza di speranza è talvolta la mancanza di vocazioni. Altre volte, i disaccordi con le opzioni o gli orientamenti. Il disaccordo è una cosa, la mancanza di speranza è un’altra. Se manca la speranza, manca anche la fede. Solo attraverso la fede si rafforza la speranza. Non dimentichiamolo mai.

Recentemente ho incontrato uno scolopio che si dedica alla formazione, in uno Studentato piuttosto grande. Mi ha detto di avere tanta speranza quanta preoccupazione. Ho capito perfettamente questa affermazione, che credo che anche il Calasanzio stesso sottoscriverebbe. La speranza non è ingenua, ma realistica. Possiamo vivere una speranza profondamente realistica? Sembra un ossimoro, ma non lo è: realismo e speranza non sono dinamiche opposte. Al contrario. La speranza ci lancia a trasformare la realtà, e la realtà ci chiede di illuminarla con progetti e orizzonti di rinnovamento. Siamo persone di speranza se lavoriamo giorno per giorno per fare le cose bene e per dare risposte nuove e rinnovate, certi che sia la volontà di Dio a lavorare per il bene e la felicità delle persone.

Vorrei concludere questa lettera invitandovi a pregare, chiedendo al Signore di essere sempre persone di speranza. La preghiera è sempre situata tra la realtà e ciò che speriamo. Pregare è sperare, perché è confidare in Colui che può fare tutto. Ci insegni, il Signore, a sperare nella Sua bontà e nella pienezza delle Sue promesse, sicuri che La troveremo quando La cercheremo con tutto il cuore[2] .

Un abbraccio fraterno.

P. Pedro Aguado Sch.P.

Padre Generale

[1] Ger 29, 11

[2] Ger 29, 13

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