ARNALDO CARUSI

1938 -2017

Il 3 marzo 1938 nasce a Cansano (provincia dell’Aquila), un paesello abruzzese di circa 800 abitanti. Dal novembre 1950 fi no al 1953 frequenta la Scuola Media nello Speranzinato, il seminario minore dei Padri Scolopi presso l’Istituto Calasanzio di Napoli.

8 settembre 1953 veste l’abito religioso dei Padri Scolopi a Roma nello Studentato di Montemario, ove trascorre l’anno di Noviziato, ossia l’anno di discernimento vocazionale, sotto la saggia guida del P. Vincenzo Vitillo.

12 settembre 1954 emette la Professione semplice, ossia l’impegno temporaneo di osservanza dei tre voti della vita religiosa (povertà, castità e obbedienza) unitamente al quarto voto proprio e specifico della Famiglia Religiosa dei padri Scolopi: l’impegno nell’educazione dei ragazzi attraverso l’istruzione.

Dal 1954 al 1961 nel Seminario maggiore dei Padri Scolopi, il Calasanctianum di Roma, compie gli studi liceali e teologici e vive gli anni della sua formazione umana, spirituale, teologica e sacerdotale.

I’1 ottobre 1959 a Roma emette la Professione Solenne: è la consacrazione definitiva alla vita religiosa, ossia l’impegno a dedicare tutta la propria vita alla Chiesa secondo la spiritualità e in attuazione del carisma di San Giuseppe Calasanzio tra i padri Scolopi.

29 giugno 1961 a Roma P. Arnaldo viene ordinato Sacerdote da Mons. Pietro Sigismondi, coadiutore della Diocesi di Roma e delegato del Santo Padre per tutte le Missioni.

9 luglio 1961 celebra la Prima Messa a Cansano. Annota: ‘Al paesello erano presenti P. Ciotta, P. Migliore, P. Perrone e don Ciccio De Bartolomeis’ (l’anziano e affettuoso Parroco che lo aveva indirizzato e accompagnato allo Speranzinato e amorevolmente seguito con i suoi fedeli negli anni di formazione).

Le tappe del lavoro

1961-1964 a Chieti nell’istituto IPAB S. Maddalena con gli orfani e gli speranzini (il seminario minore dei Padri Scolopi): scuola, assistenza e insegnamento.

1964-1967 a Campi Salentina: scuola, insegnamento, responsabile del Convitto; Cappellano delle Suore Calasanziane dell’Istituto Mamma Bella. Laurea in Lettere.

1967-1979 di nuovo a Chieti, S. Maddalena: Assistenza e Scuola agli Orfani e agli Speranzini; attività pastorale nella Parrocchia di S. Antonio Abate in aiuto al parroco Mons. Angelo Amoroso.

1979-1988: eletto SUPERIORE PROVINCIALE per tre mandati, risiede a Napoli nell’Istituto Calasanzio. In ossequio a una decisione capitolare propria della Provincia Napoletana lascia l’insegnamento per essere totalmente dedito a svolgere il mandato affidatogli: disponibile per le persone e le opere.

1988-2009 continua la sua presenza a Napoli, nell’Istituto Calasanzio come stretto collaboratore dei suoi successori quale Economo Provinciale e Rappresentante Legale; e naturalmente economo dell’Istituto.

Dal 1979 al 2009 (annota: “30 anni a Napoli”): oltre agli uffici affidatigli svolge la sua attività pastorale nella chiesa di S. Carlo all’Arena, e inoltre è Cappellano delle Suore Maestre Pie Venerini, delle Suore della Carità e della Confraternita di S. Rita a Marconiglio, nell’umile quartiere di s. Antonio Abate.

2009-2011 Chiuso l’Istituto Calasanzio, vive a Napoli nella rinata comunità di s. Carlo all’Arena, dove il 29 giugno 2011 celebra il 50° di sacerdozio.

2011-2017: Con la Provincia Unita italiana l’obbedienza lo chiama all’Istituto Calasanzio di Genova come economo; ivi svolge l’attività pastorale nella parrocchia Nostra Signora di Lourdes a Campi (un quartiere di Genova) e presso gli anziani della casa di riposo “Duchessa di Galliera”. Dal 13 marzo al 30 giugno 2017: dura poco più di 100 giorni il suo Calvario proprio con il male della sua famiglia: cancro all’intestino e un pesante infarto.

30 giugno 2017 all’alba, P. Arnaldo muore, e dal 4 luglio riposa nella Cappella dei Padri Scolopi a Campi Salentina, come aveva desiderato.

La persona e il religioso

Queste le tappe salienti della vita di P. Arnaldo, scrupolosamente annotate di suo pugno con una grafi a chiara e con poche parole essenziali. In tutto 79 anni: 63 anni di vita religiosa e 56 anni di sacerdozio. Anni continuativi di impegno, di fedeltà e di obbedienza, caratterizzati da una costante disponibilità. Un sì pronunciato una volta e mai ritirato, mai fatto pesare, anche in momenti difficili, da lui tenuti sotto silenzio. Anni vissuti da sacerdote scolopio, un sacerdozio che, sull’esempio quasi centenario del Fondatore, non conosce interruzioni, non esaurisce mai la propria missione: si tratta di una consacrazione, e in una comunità, in una chiesa, e soprattutto in una scuola uno scolopio ha sempre qualcosa da fare.

A P. Arnaldo va riconosciuto prima di tutto questo merito: la grande realtà del valore e della lealtà della sua dedizione ininterrotta a Dio, alla Chiesa, alle Scuole Pie. Lo sanno bene le persone che vivono o lavorano a fi anco degli Scolopi, lo sa bene il luogo intelligentemente eletto da p. Arnaldo per il suo riposo, Campi Salentina, una cittadina che convive da secoli con i Padri Scolopi: qui non è necessario spiegare chi è un sacerdote scolopio, e la sua gente lo sa che uno scolopio non cessa mai di essere in servizio, non va mai in pensione. Così è stato per P. Arnaldo.

Famiglia semplice e umile la sua, da cui gli derivava quello stile di vita estremamente semplice e direi spartano, e la capacità di adattarsi, di accontentarsi, – comunque e sempre – in ogni situazione: padre barbiere, madre casalinga; contadini nei piccoli lenzuoli di terra che davano la sussistenza familiare essenziale, come tradizionalmente accadeva ancora, per tante famiglie, nell’Abruzzo a metà Novecento. E intanto, nei tempi duri del secondo dopoguerra, l’esigenza nuova per una famiglia numerosa, in Abruzzo come in altre regioni del Meridione italiano: sorge impellente nei giovani la necessità di trovarsi un lavoro, e di conseguenza, in un contesto avaro di opportunità, la necessità di partire, andare altrove, anche lontano. Così dovranno fare anche i suoi tre fratelli e le tre sorelle, tutti in Canada nei primi anni Cinquanta; mentre lui, il più piccolo, si sta già orientando verso una vita diversa.

Resta solo in Italia con i suoi genitori, ma non si lamenterà mai di questa situazione, del peso di questo distacco. Anzi, parlerà sempre con tono ammirato e orgoglioso della sorella Giovannina, quella che era stata la prima a partire, a lasciare il paese – lei donna – e che aveva fatto strada agli altri, fratelli e sorelle, e a diversi giovani compaesani. E lì in Canada, pur essendo riusciti variamente a “sistemarsi” grazie all’impegno e allo spirito di sacrificio, conservano il tono della vita semplice delle loro origini. Lo racconta P. Arnaldo di ritorno da un suo viaggio, lui che tuttavia negli anni si limita nel naturale desiderio di rivederli, e – nonostante l’insistenza dei confratelli o di qualche superiore – accetta di andare a trovarli solo in pochissime speciali occasioni, e quasi con imbarazzo… per non gravare… Lui è fatto così, attento alle minime cose e per sé decisamente parsimonioso: gli basta di tanto in tanto sentire la loro voce per telefono. (La sorella Giovannina è morta i primi giorni di marzo, dello stesso male, e da quel momento è come scoppiato in maniera prepotente il male anche per P. Arnaldo).

Ci sono tanti Scolopi, nella sua vita e nei suoi ricordi, soprattutto alcune fi gure precise, anzi speciali secondo le sue parole: sono quegli Scolopi che hanno segnato la sua formazione o accompagnato la sua vita, religiosi dei quali P. Arnaldo ha conservato un tenero e grato ricordo, pubblicamente da lui confessato in numerose occasioni, enumerandone sempre positivamente, a volte anche in tono ammirato, le qualità umane, culturali o religiose.

A Napoli, primo fra tutti, il P. Filippo Ciotta (personalità austera e determinata, per molti anni Superiore Provinciale della Provincia Napoletana, solido docente all’antica, del quale ammirava la tempra e la forza decisionale unite all’attenzione per ogni cosa e alla preoccupazione persistente per le vocazioni “come nessun altro di noi”: liberando da ordinari impegni i padri più giovani, li sollecitava vivamente a girare nelle parrocchie dell’Abruzzo, della Puglia e della Sicilia; così è diventato vero rifondatore della Provincia); P. Leonardo De Marco (sacerdote dall’intelligenza vivace e con animo di artista, instancabile e inimitabile animatore di gioiose attività fra i ragazzi, entusiasta ed entusiasmante educatore e guida, soprattutto degli speranzini) e P. Ludovico Szücs (scolopio ungherese profugo, dal volto perennemente sereno e rasserenante, disponibile all’ascolto, psicologo e specialista nella teologia sacramentaria, paziente e sapiente confessore nella chiesa di S. Carlo all’Arena dei ragazzi e giovani delle scuole circostanti).

A Roma, P. Vincenzo Vitillo (Maestro dei Novizi e persona semplice ed essenziale, formatore di profonda spiritualità); P. Secondo Mazzarello (Rettore e docente del Calasanctianum, uomo di cultura, studioso della Liturgia e tra gli esperti italiani coinvolti nella Riforma Liturgica postconciliare, passione che amava inculcare nei giovani chierici che guidava nella preparazione al sacerdozio); P. Giovanni Bravieri (per diversi anni Maestro dei Chieri ci, persona preziosa e dolcissima e sacerdote esemplare; secondo P. Arnaldo, più che con le istruzioni periodiche era formativo semplicemente vedere quel suo modo quotidiano, raccolto ed estatico, di celebrare la santa Messa; e con tono tra ammirato e commosso aggiungeva: “si toglieva l’orologio dal polso prima di uscire a celebrare!”).

Di questi ultimi tre padri, diceva, tutti gli Scolopi italiani dovrebbero conservare perenne memoria e profonda gratitudine. Ed è sicuramente il loro esempio, radicato nel cuore, che nelle diverse tappe della sua vita e in ogni nuova destinazione, al di là della funzione o lavoro esercitati, lo spinge ad annotare luoghi o persone per le quali svolge la sua attività specificamente sacerdotale e pastorale.

Persona riservata e disponibile. A chi lo ha conosciuto o incontrato nel tempo, a Napoli o ultimamente a Genova, forse ha dato l’impressione di uno che vuol tenersi in disparte, o di essere disinteressato o di volersi defilare. No, e non era timidezza la sua: lui era proprio così, semplicemente riservato, per sua natura non amava apparire. Ed è rimasto tale anche nel tempo in cui ha svolto funzioni importanti. Ma non era un sottrarsi. Persona discreta e molto semplice, ma avvicinandolo lo scoprivi come uno di famiglia, cordiale, genuino, mite, e insieme imperdonabile ottimista ad oltranza. E comunque in ogni momento disponibile; per sé stesso solo una vita essenziale, senza fronzoli, senza velleità: semplicemente buono. Ma soprattutto mite: questo aggettivo evangelico, una delle beatitudini, è decisamente suo.

E poi persona equilibrata e mai invadente. Uomo di poche parole: i suoi interventi erano pieni di saggezza pratica ed essenziale, assolutamente concreti, mai esasperati. Con lui si poteva vivere e lavorare con continuità e tranquillità, senza il rischio di tensioni, perché senza pretese e incapace di pregiudizi. E tuttavia impegnato e tenace, preciso e concreto nel suo lavoro. In poche parole, veramente un buon compagno di viaggio. E’ stato questo il suo stile o forse una sua scelta: ha amato lavorare e ha saputo lavorare nel silenzio. Calzante per lui la definizione data da Pio XII ad ogni scolopio, quasi un ritratto istituzionale: l’ignoto calasanziano.

Ricordo solo un’occasione in cui scende in trincea. Prende la penna e si firma: Il carbonaro del Signore: gesto coraggioso o avventato per quei tempi, o sicuramente rischioso. Era il dopo sessantotto, anni critici nella società e anche nella Chiesa: pregiudizi e interpretazioni gratuite o tendenziose toccano e inquietano anche le istituzioni e le comunità dei religiosi. Ma deve difendere l’onorabilità di un confratello e si espone con decisione, invitando anche altri a prendere posizione.

Superiore Provinciale a Napoli per ben nove anni: periodo delicato per la Provincia religiosa napoletana. Si sono già verificati fenomeni di abbandono. Più che la contestazione è fortemente presente lo stacco generazionale; egli si rende conto che è ormai tempo di dare spazio o, più concretamente, inserire anche le nuove leve nel governo delle comunità e degli istituti. Con pazienza P. Arnaldo interpella, ascolta e poi decide: riesce così a coinvolgere nelle responsabilità di governo anche i padri giovani; e tuttavia nella Provincia mantiene cordialità-armonia-consenso pur nella diversità delle prospettive, o delle abitudini.

Perché da sempre era convinto che l’obbedienza, al di là del voto, porta un grande beneficio alle persone; e lo ripeteva per sé e per gli altri: “a cambiare (luogo o funzione o attività) ci si ricarica e ci si rinnova”. Per questo non riusciva a capire alcune posizioni presenti fra i religiosi di pregiudiziale resistenza a cambiar sede, allo spostarsi, da lui raccolte in diverse occasioni e in tempi diversi. Questo in modo particolare dopo la nascita della Provincia Italiana unificata, quando, osservando le poche persone in movimento e i frequenti ritorni indietro in sede, ironizzava bonariamente sui religiosi unius loci, sulle nicchie e sugli obbedienti a tempo determinato. In questo contesto, nonostante il peso dell’età e la non facile situazione, anche di salute, cui intuiva di andare incontro, aveva accettato il trasferimento a Genova, ove si è dedicato – per quanto le forze e la capacità gli permettevano – all’assistenza spirituale agli anziani dell’attigua Casa di riposo e all’animazione pastorale prefestiva nella Parrocchia di Lourdes: lì una piccola comunità di fedeli diventata amica lo attendeva, la sera del sabato 4 marzo, per un’intima festicciola pensata per il suo compleanno.

Ma il male ormai si andava imponendo prepotente. Quella sera, come qualche altra volta in precedenza, non aveva la forza di andare a celebrare perché si stava sottoponendo a una serie di controlli clinici che, finalmente, si era deciso a fare, quasi in simbiosi con la sorella Giovannina. Sì, era proprio quel male che aveva temuto e che aveva cercato di prevenire, ma che – in un certo senso – si aspettava come componente di solidarietà familiare. Poi, dal 13 marzo una corsa senza ritorno: cancro allo stomaco seguito da un devastante infarto. Ospedale di Sestri, ospedale di Voltri e quindi Villa Duchessa di Galliera. 109 giorni: poco più dei tre mesi diagnosticati dai medici, anche in questo puntuale e quasi obbediente. Uscito dalla terapia intensiva dopo l’infarto, per prima cosa e con grande serenità aveva chiesto a P. Celestino l’Unzione degli Infermi e richiedeva puntualmente l’Eucaristia. Poi, con lo stesso tono sereno, recitando il Rosario: “E’ arrivata la mia ora, vero?” perché è rimasto lucido fi no all’ultima sera.

“Vorrei essere sepolto a Campi Salentina”. Questo il desiderio espresso da P. Arnaldo con piena consapevolezza durante i giorni della sua malattia. Lo confidò prima timidamente a P. Celestino e poi rafforzò questo suo convincimento fino a parlarne direttamente al P. Provinciale in occasione di una sua visita. In precedenza, aveva richiamato più volte gli anni trascorsi a Campi, pochi ma intensi e fortemente gratificanti nel suo ricordo, unitamente al ricordo ammirato della fervida devozione presente laggiù per San Pompilio. Con squisita semplicità e schiettezza espose in forma lapidaria anche la sua valutazione delle altre possibili ipotesi: sconosciuto a Genova, cappella poco frequentata a Napoli. Invece ne era proprio convinto: “A Campi sicuramente qualcuno pregherà per me”. E ricordava la frequentazione devota e raccolta delle persone di Campi sia al Santuario che alla cappella dei Padri al cimitero: praticamente si sentiva sicuro tra le braccia di persone tanto legate a San Pompilio. E in modo speciale alla preghiera di quelle pie persone ha voluto affidarsi.

Per questo P. Arnaldo oggi riposa a Campi Salentina, la cittadina dove non è necessario spiegare chi è un Sacerdote Scolopio.

Mi sembra doveroso concludere riportando qui un delicato pensiero di P. Dante Sarti, che per alcuni mesi dell’anno precedente aveva condiviso l’attività nella comunità di Genova. “Mi rimane il forte ricordo della sua mitezza e della sua premura verso tutti, come se quasi non volesse né apparire né disturbare, anche quando esprimeva la sua preoccupazione e le sue attenzioni per gli altri.

Per me è stato un confratello esemplare, un caro amico, un vero compagno di viaggio la cui presenza voglio che perduri dentro di me e lo penso teneramente accanto al Signore.

Vi sono vicino nella tristezza, ma anche nella speranza e nel prezioso ricordo di questo caro Padre che porta con sé una parte di noi e della nostra storia.” (Mail di P. Dante Sarti del 30 giugno 2017)

Mario Saviola Sch. P.

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